(dal blog di Aldo Giannuli)
E tutto questo è stato innescato solo dall’annuncio di Papandreu di un referendum sul piano di aiuti ottenuto e sulle conseguenti misure da adottare.
Per capire dove stiamo andando a sbattere, partiamo da una domanda: perchè Papandreu ha fatto questa mossa?
Si potrebbe pensare che ci sia dietro una strategia del tipo: “se salta tutto, noi greci andiamo a terra, ma ci portiamo appresso tutti voi, signori dell’Eurozona, per cui vi conviene concederci gli aiuti a condizioni più ragionevoli, per evitare la catastrofe”. Ma questo non convince: è un argomento che Papandreu avrebbe potuto far valere già da due anni e non lo ha mai fatto, che senso avrebbe farlo ora, dopo aver appena concluso con successo il negoziato per il finanziamento Ue-Bce per una rata di bond?
Rimettere tutto in discussione a questo punto è molto più che una mossa azzardata: somiglia molto da vicino ad un suicidio. Peraltro, se davvero ci fosse qualche calcolo politico di portata internazionale, si immagina che il governo greco ne avrebbe informato il governo ed il partito che lo sostiene, che farebbero quadrato intorno a lui. E, invece, a quanto pare, nemmeno il ministro delle finanze non ne sapeva nulla e il Pasok è stato colto del tutto impreparato al punto che diversi suoi deputati chiedono le dimissioni del governo.
Dunque, non si tratta di questo.
A darci qualche lume per capire la
situazione è un libro di Dimitri Deliolanes uscito da poche settimane
“Come la Grecia” ed. Fandango-Libri, Roma 2011, la cui lettura consiglio
caldamente, per sfatare molti pregiudizi ed apprendere notizie che
difficilmente si leggono sui nostri quotidiani. Fra le altre, Deliolanes
fornisce molte notizie sulle caratteristiche personali del ceto
politico greco e del suo principale esponente, Papandreu, greco della
diaspora, vissuto per quasi tutta la sua vita negli Usa, uso frequentare
i migliori salotti della politica e della finanza mondiale, con legami
assai deboli con il suo paese di origine di cui ha una immagine molto
fantasiosa. Tornato in patria come l’erede di una leggendaria dinastia
di governanti (il nonno Yiorgos fu leader dell’Unione di Centro e capo
del governo nel 1944 e poi negli anni sessanta, il padre Andreas fu il
capo dell’opposizione al regime dei colonnelli, fondatore del Pasok e
capo del governo negli anni ottanta), era naturalmente destinato a
prendere le redini del partito e candidarsi a Presidente del Consiglio,
nonostante la debole conoscenza del suo paese. Per di più, egli non ha
minimamente le capacità politiche degli illustri ascendenti ed ha decise
inclinazioni personalistiche, più incline a formarsi una corte
personale che un vero e proprio gruppo dirigente di partito e di
governo. Corte nella quale è ascoltato consigliere Pavlos
Yierousulanos, un vecchio amico, anche lui reduce di università
americane ed inglesi, del tutto estraneo alla patria d’origine ma
comunque nominato ministro del Turismo (che, in Grecia, vuol dire
qualcosa). L’attuale Papandreu ha ripetutamente dimostrato di
considerare il Pasok come una mera appendice personale, mentre ritiene
che il merito della vittoria elettorale risieda soprattutto nel suo nome
altisonante e non tiene in gran conto le critiche alle sue scelte di
governo.
Vi ricorda nessuno questo ritrattino?
Vi ricorda nessuno questo ritrattino?
La situazione è precipitata negli ultimi
giorni di ottobre: sbandierato come un clamoroso successo la tranche di
finanziamenti ottenuti dall’Europa, non si aspettava le dimostrazioni
popolari ostili del 28 ottobre, data nella quale i greci (che hanno un
forte senso nazionale) ricordano la vittoria sull’aggressione
dell’Italia del 1940, con manifestazioni sempre molto partecipate. In
questa occasione le usuali critiche a Papandreu di essere un amerikano
(con il k) che ha venduto il paese agli stranieri, sono state ancora più
violente. Di qui la reazione del premier che, in perfetta solitudine e
senza degnarsi di consultare neppure il suo ministro delle Finanze, ha
convocato un referendum, forse pensando di essere De Gaulle.
Il calcolo politico, piccolo piccolo,
per la verità, sembra essere questo: fare un referendum sul piano di
aiuti che si trasformi in un referendum su “Euro o Dracma”, vincerlo e
piegare le resistenze ai piani di risanamento imposti dalla Ue.
Peccato che i sondaggi diano il no al piano al 60% e che questo abbia immediatamente scatenato il terremoto finanziario che ha travolto le borse europee.
Che succederà ora? La cosa più probabile è che il referendum non si farà, che il governo Papandreu cada e che si vada ad elezioni anticipate, magari passando per un governo di unità nazionale; dopo di che il probabile vincitore sarebbe Venizelos che farà esattamente le stesse cose ordinate dalla Ue con un pizzico di sadismo in più.
Peccato che i sondaggi diano il no al piano al 60% e che questo abbia immediatamente scatenato il terremoto finanziario che ha travolto le borse europee.
Che succederà ora? La cosa più probabile è che il referendum non si farà, che il governo Papandreu cada e che si vada ad elezioni anticipate, magari passando per un governo di unità nazionale; dopo di che il probabile vincitore sarebbe Venizelos che farà esattamente le stesse cose ordinate dalla Ue con un pizzico di sadismo in più.
Nel frattempo, la notizia della caduta
del governo Papandreu calmerà i mercati, si ritroverà una qualche
stabilità e forse, addirittura, ci sarà qualche momento di euforia, ma i
problemi resteranno tutti e si tratterà solo di una piccola tregua. E’,
più o meno, quello che ha fatto Zapatero (ma lì i socialisti hanno più
probabilità di vincere) ed è la stessa cosa che borse e governi europei
auspicano che accada in Italia.
Intendiamoci: in tutto questo sfacelo le
bestialità dei governanti hanno un peso e l’Italia in particolare paga
in più la “tassa Berlusconi” dovuta all’impresentabilità del suo Primo
Ministro. E’ auspicabilissimo che il Cavaliere finalmente si tolga dai
piedi, il che guadagnerebbe qualche indulgenza della Ue al nostro
sfortunato paese, ma le cose sono molto più complicate e non si
risolvono solo togliendo di mezzo i governanti-macchietta del continente
(peraltro, quanto a macchiette, non è che Sarkozy e la Merkel siano poi
tanto meglio).
Il punto è un altro: la speculazione
internazionale sta puntando le sue carte sul fallimento dell’Europa e
della sua moneta. Noi non amiamo rifugiarci dietro questi comodi nomi
generici (“speculazione internazionale”, “poteri forti”, ecc.) e
preferiamo puntare il dito verso obbiettivi più precisi, dunque diciamo
che i protagonisti principali dell’operazione sono le maggiori banche
d’affari americane, Goldman Sachs in testa, con l’appoggio degli hedge
fund e private equity collegati, con la benevolenza del governo
americano e la complicità delle agenzie di rating. Poi ci si aggiungono
molti altri soggetti finanziari che sperano di banchettare anche loro
sul cadavere dell’euro (gli squali seguono sempre la scia delle navi,
nella speranza di avventarsi sui rifiuti buttati in mare), ma la testa
dell’operazione sta lì a Wall Street.
L’affondamento dell’Euro (e dei titoli
di debito pubblico così denominati) avrebbe diversi vantaggi per gli
“amici” di Oltreatlantico.
In primo luogo si tratterebbe della classica ricetta dei tempi di crisi: trovare il capro espiatorio cui rifilare il conto di tutti. E l’Euro è l’anello debole della catena, naturalmente destinato a spezzarsi: è debole perchè è una moneta senza Stato, incapace di assumere tempestivamente decisioni efficaci, è debole perchè è una moneta senza politica, è debole perchè mette insieme alla rinfusa economie diversissime fra loro che emettono titoli di debito sconsideratamente e senza raccordo fra loro, è debole, soprattutto, perchè ha dietro di sè un ceto politico dove il migliore è quello mediocre e tutti gli altri sono delle bestie.
In primo luogo si tratterebbe della classica ricetta dei tempi di crisi: trovare il capro espiatorio cui rifilare il conto di tutti. E l’Euro è l’anello debole della catena, naturalmente destinato a spezzarsi: è debole perchè è una moneta senza Stato, incapace di assumere tempestivamente decisioni efficaci, è debole perchè è una moneta senza politica, è debole perchè mette insieme alla rinfusa economie diversissime fra loro che emettono titoli di debito sconsideratamente e senza raccordo fra loro, è debole, soprattutto, perchè ha dietro di sè un ceto politico dove il migliore è quello mediocre e tutti gli altri sono delle bestie.
In queste condizioni, e dato il vento
che spira, puntare allo scasso dell’Euro e titoli collegati è il gioco
più ovvio che si possa immaginare ed i ribassisti di tutto il mondo
staranno già da mesi puntando alla grande sulle vendite allo scoperto.
Fra l’altro, questo avrebbe anche il vantaggio di accumulare liquidità,
in vista della tempesta della scadenza dei titoli da alto rischio
prevista per il prossimo anno.
Ma la fine dell’Euro avrebbe anche molte
altre conseguenze gradite a Wall Street e dalle parti del Potomac: il
ritorno alle monete nazionali (o lo sdoppiamento dell’Euro fra forte e
debole) avrebbe come conseguenza l’emergere di monete forti nell’area
dell’Europa centro settentrionale (soprattutto se la Germania tornasse
al marco) determinando la caduta delle esportazioni europee nel Mondo
facilitando quelle americane. Inoltre, il fallimento dell’Euro avrebbe
l’effetto di consolidare il dollaro che, nonostante tutto, potrebbe
presentarsi come l’ancoraggio monetario più stabile. Magari non
funzionerebbe per molto, ma un po’ di respiro al biglietto verde lo
darebbe.
Poi ci sarebbero conseguenze più
propriamente politiche: il naufragio dell’Euro porterebbe con se quello
della Ue. Scomparirebbe così una ambigua area di mezzo fra l’Impero di
sempre e quelli emergenti o riemergenti, ci sarebbe la fine dell’asse
franco tedesco e, di riflesso, la saldatura dell’ asse Parigi-Londra,
tradizionale alleato di Washington. Il prezzo potrebbe essere quello di
spingere la Germania fra le braccia di Mosca (in fondo è anche in questo
caso la ripresa di un asse storico, la linea di Tauroggen) ma a questo
si penserà dopo.
Tutto questo ha una logica, quello che invece manca è la logica dei governanti europei che sono un’accozzaglia di Don Abbondio allo sbaraglio.
Tutto questo ha una logica, quello che invece manca è la logica dei governanti europei che sono un’accozzaglia di Don Abbondio allo sbaraglio.
Aldo Giannuli

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