Significativa questa analisi sul Sole 24 Ore, di Guido Gentili. Tuttavia lascia l'amaro in bocca...
Se non possiamo considerarci baldanzosi emergenti, siamo costretti a vivere da depressi paurosi? O dobbiamo vivere sperando in un ritorno del sentimento europeista?
Il tempo passa... vivere da depressi, o pieni di paure, o sperando in un futuro migliore, non aiuta a Vivere!
Il nostro tempo è Ora!(da www.ilsole24ore.com)
Non c'è più il futuro di una volta
di Guido GentiliSarà perché stiamo festeggiando, tra calorose notti tricolori e qualche passo falso, i centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. Sarà perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ripete ogni volta che può. Sarà perché abbiamo lanciato la sfida olimpica di "Roma 2020" ed abbiamo appena ricordato i formidabili Giochi di Roma del 1960, in pieno boom economico e quando ancora non c'era il Muro di Berlino.
Sarà un po' per tutto questo, ma è un dato acquisito che s'infittisce la schiera - nelle istituzioni, nella politica, nell'economia, tra gli storici - dei ricercatori dello "spirito" vincente degli anni Sessanta e Cinquanta. Una stagione d'oro per lo sviluppo di un'Italia affamata di futuro e alla riscossa dopo i disastri della guerra, tra apertura delle frontiere e firma (a Roma) dei Trattati che hanno dato vita alla Comunità Economica Europea. Gli anni del "miracolo" e del film Il sorpasso, quando l'Autostrada del Sole da Milano a Napoli, 761 km., venne realizzata in appena otto anni, dal '56 al '64.
Insomma non sorprende, nei tempi attuali di bassa crescita, pesanti incognite internazionali ed alta conflittualità politica interna, la riscoperta dello "spirito" vincente e di un grande progetto di rilancio all'insegna di una forte unità di azione. Come in fondo accadde negli anni Sessanta e come avviene oggi nei paesi emergenti tipo la Turchia, ha osservato martedì sul Sole 24 Ore il capo azienda di UniCredit Federico Ghizzoni.
Tutto bene: nessuna partita può essere affrontata senza la voglia di vincerla. In questo senso il richiamo a più voci dello spirito vincente suona opportuno. Ma alla condizione di un esame realistico, e non di comodo, della situazione attuale in rapporto a quella a cavallo tra gli anni '50 e '60. In particolare, per ciò che riguarda l'Europa ed i paesi emergenti. Il discorso si fa allora un po' più complicato. Facciamo gli "emergenti"? Va bene per lo spirito, molto meno per altro. Dove "altro" è però in alcuni casi moltissimo: assetto democratico e diritti umani, per citare due capitoli fondamentali. È vero poi che gli emergenti del 2011 (i Bric, cioè Brasile, Russia, India e Cina cui si stanno aggiungendo Turchia e Sudafrica) registrano tassi di crescita da capogiro (+7,3% in media nel 2010 contro l'1,7% dei Paesi euro ed il 2,8% degli Usa). Ma è altrettanto un fatto che le loro impennate si fondano sulla spinta della domanda interna ed in molti casi su imponenti dilatazioni della spesa pubblica, in particolare per gli investimenti nelle infrastrutture.
L'Europa (e l'Italia) è su un'altra strada. Abbiamo il problema di rientrare dai debiti e dai deficit pubblici, in nessun caso è possibile allentare la guardia su questo fronte. La linea di rigore modello-Germania, che l'ha fissata nella Costituzione, è quella che fa scuola. E prassi. L'Italia, sta scritto nel Piano di stabilità appena presentato dal governo, si impegna ad introdurre nella sua Costituzione il vincolo di bilancio. Non esistono alternative ad una severa politica di rigore fiscale, ha tagliato corto il ministro Giulio Tremonti.
Dunque, atteso che è comunque impossibile vestire i panni degli "emergenti" (piuttosto, dobbiamo sfondare su quei mercati in crescita con il nostro made in Italy di qualità), la domanda da porsi è se lo "spirito vincente" di cui siamo alla ricerca può ossigenarsi con i polmoni dell'attuale costruzione europea dove s'è affermato da tempo un mercato comune, circola una moneta comune ma dove coesistono, a fatica, 27 politiche economiche diverse. Sulla carta sì, è questa la strada. Che cos'è il nuovo "Patto per l'euro" se non un passo verso l'integrazione di una politica davvero federale, come quella disegnata (ma poi disattesa) dal Manifesto di Ventotene redatto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel 1941 sulla quale in Italia ritorna, con ossessiva lucidità, la sola coppia radicale Pannella-Bonino?
Fatto è che nel 2011, come dice Romano Prodi, «l'Europa ha paura di tutto, della concorrenza cinese, degli immigrati africani e degli altri paesi europei, ha paura della non ripresa e anche dell'euro». Il recente Trattato di Lisbona, entrato in vigore a fine 2009 dopo mille compromessi, è un "fossile", per avere più Europa (quella di oggi è "missing in non action") dobbiamo cambiarne la Costituzione, osserva Tremonti. Non siamo all'anno zero, ma siamo certamente indietro, molto indietro.
In un'Europa che non sembra credere in se stessa, piaccia o no avvertita ora come distante ora come invadente dai cittadini, i governi finiscono (inevitabilmente) per difendere ciascuno l'interesse nazionale, con ciò alimentando quote crescenti di euroscetticismo popolare, la cui demonizzazione è esercizio peraltro futile e controproducente.
Così, in un contesto dove i lacci (sovranazionali) s'alternano agli strappi (nazionali) è difficile prendere il vento della ripresa o anche solo alzare lo sguardo - in Germania come in Francia ed in Italia - oltre il solito appuntamento elettorale. Ma questa è la situazione: non c'è l'aria di speranza, se vogliamo un po' baldanzosa, degli anni Sessanta, e la fame di futuro ce l'hanno quelli che per cercare l'Europa affrontano di notte il mare, in molti casi mai visto prima.

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