(da Transition Italia del 4/11/2011 di Massimiliano)
Parlare di crescita antieconomica sembra un nonsense, invece è proprio ciò che stiamo vivendo in questo momento.
La fine della crescita economica è alle porte o, molto più verosimilmente, è già arrivata,
ma già ora, e da diverso tempo, siamo entrati nel regno della crescita
antieconomica, la crescita, cioè, che se venisse ricalcolata coi
propri costi reali nessuno vorrebbe veramente.
In questo articolo di Herman Daly maggiori dettagli.
(Grazie a Luca per la revisione della traduzione)
I limiti dello sviluppo – Ancora quarant’anni? (di Herman Daly)
Da The Next Forty Years (I prossimi quaranta anni) di Jorgen Randers
Quarant’anni fa, quando ho letto I Limiti dello Sviluppo
credevo già che una crescita nell’uso delle risorse totali (cioè il
valore della popolazione moltiplicato per l’utilizzo di risorse
pro-capite) si sarebbe fermata entro i successivi quarant’anni. Il
modello d’analisi del team Meadows è stata una conferma forte di quella
convinzione di buonsenso sulla base di principi primi che risalgono
almeno a Malthus e a precedenti economisti classici.
Bene, ora sono
passati quarant’anni e la crescita economica è ancora l’obbiettivo
numero uno della politica di praticamente ogni nazione, questo è
innegabile.
Gli
economisti della crescita dicono che i “Neo-Malthusiani” si sono
semplicemente sbagliati e che continueremo a crescere. Ma io credo che
la crescita economica sia già finita, nel senso che la crescita che sta
continuando in questo momento è antieconomica – costa più di quanto
valga al margine e ci rende più poveri piuttosto che più ricchi. La
chiamiamo ancora crescita economica o semplicemente “crescita” nella
confusa credenza che la crescita debba essere sempre economica. Io
asserisco che noi, specialmente nella nazioni ricche, abbiamo raggiunto
il limite economico della crescita ma non lo sappiamo e disperatamente
lo nascondiamo attraverso conti pubblici difettosi, perché la crescita
è il nostro idolo e smettere di adorarla è un anatema.
Non
è che preferirei vivere in una caverna e congelare nell’oscurità al
posto di accettare i benefici storici della crescita. Naturalmente no.
Il totale cumulativo dei benefici della crescita sono, a mio modo di
vedere, più grandi del totale cumulativo dei costi, sebbene alcuni
storici dell’economia ne stiano dibattendo. In ogni caso non possiamo
disfare il passato e dovremmo essere grati a coloro che hanno pagato i
costi della creazione della ricchezza di cui stiamo godendo. Ma, come
ogni economista dovrebbe sapere, sono i costi e benefici marginali (non
totali) che sono rilevanti nel determinare quando la crescita diventa
antieconomica.
I
benefici marginali declinano perché noi diamo soddisfazione ai nostri
desideri più pressanti prima; i costi marginali aumentano perché noi
usiamo prima le risorse più accessibili e sacrifichiamo i servizi degli
ecosistemi meno vitali mentre cresciamo (convertiamo la natura in
oggetti).
I
profitti marginali di una terza automobile valgono i costi marginali
della distruzione climatica e dell’aumento del livello dei mari?
I
benefici marginali in declino eguaglieranno i crescenti costi
marginali, mentre i benefici netti sono positivi – infatti proprio
quando i benefici netti cumulativi di crescita del passato sono al
massimo!
Nessuno
è contrario ad essere più ricchi, almeno fino ad un livello di
ricchezza sufficiente. Che essere ricchi sia meglio che essere poveri è
una verità lapalissiana per definizione. Che la crescita ci renda
sempre più ricchi è un errore elementare anche all’interno della logica
di base dell’economia standard.
Come suggerito sopra, non vogliamo realmente sapere quando la crescita diventa antieconomica,
perché poi dovremmo smettere di crescere a quel punto, e non sappiamo
come far funzionare un’economia di stato stazionario, essendo
religiosamente impegnati in un’ideologia del “no limits”.
Vogliamo
credere che la crescita possa “curare la povertà” senza
redistribuzione, e senza limitare la dimensione della nicchia umana
nella creazione. Per mantenere questo stato illusorio, confondiamo due
distinti significati del termine “crescita economica”.
A
volte esso si riferisce alla crescita di quella cosa che chiamiamo
economia (il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle
riserve di popolazione e ricchezza e dai flussi di produzione e
consumo). Quando l’economia diventa fisicamente più grande la chiamiamo
“crescita economica”.
Ma
il termine ha uno secondo significato, molto diverso – se la crescita
di ogni cosa genera benefici che aumentano più velocemente dei costi la
chiamiamo ugualmente “crescita economica” – una crescita che è economica nel senso che rende un beneficio netto o un profitto.
Ora, può la “crescita economica” intesa nel primo senso, implicare una “crescita economica” nel secondo? No, assolutamente no. L’idea che un’economia più grande debba sempre renderci più ricchi è pura confusione.
Che
gli economisti possano contribuire a questa confusione è sconcertante,
perché tutta la microeconomia è dedita a trovare la dimensione
ottimale di una data attività – il punto oltre il quale i costi
marginali eccedono i benefici marginali e l’ulteriore crescita sarebbe
antieconomica.
Ricavo Marginale = Costo Marginale è anche chiamata la “regola del quando fermarsi” nella crescita di un’impresa.
Perché
questa semplice logica di ottimizzazione scompare in macroeconomia?
Perché la crescita della macroeconomia non è soggetta ad un’analoga
“regola del quando fermarsi”?
Ci
rendiamo conto che tutte le attività microeconomiche sono parte di un
più grande sistema macroeconomico e la loro crescita causa la
dislocazione ed il sacrificio di altre parti del sistema. Ma la
macro-economia in sé stessa è intesa come se fosse l’intera faccenda e
quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non sposta nulla, per cui
non incorre in alcun costo-opportunità.
Ma questo è falso, naturalmente. Anche
la macro-economia è una parte, come sottosistema della biosfera, una
parte dell’Economia più Grande dell’ecosistema naturale. Anche la
crescita della macroeconomia impone un aumento dei costi-opportunità
legato alla riduzione del capitale naturale che ad un certo punto
impedirà ulteriore crescita.
Eppure
alcuni dicono che se la nostra misura empirica della crescita è il
PIL, basato sulla compravendita volontaria di beni e servizi finali in
liberi mercati, questo di per sé garantisce che la crescita consista
sempre in beni, non in “mali” (gioco di parole in inglese
“goods-bads”ndT). Questo accade perché la gente comprerà volontariamente
solo beni. Se di fatto comprasse un “male”, dovremmo ridefinirlo come
bene!
Abbastanza
verosimile a come funziona nella realtà, che non è dissimile. Il
libero mercato non mette un prezzo ai “mali” – ma ciononostante i
“mali” vengono inevitabilmente prodotti parallelamente e in modo
congiunto ai beni. E siccome i “mali” non hanno prezzo, il calcolo
del PIL non può sottrarli – anzi, registra la produzione aggiunta di
“anti-mali” (che hanno prezzo) e li conta come beni. Per
esempio, non sottraiamo i costi dell’inquinamento come un “male” , anzi,
aggiungiamo il valore della sua bonifica sotto forma di bene. Questo è un conteggio asimmetrico.
In aggiunta contiamo il consumo di capitale naturale (esaurimento di
miniere, pozzi, acquiferi, foreste, pesca, suolo fertile, ecc.) come se
fossero redditi anziché prelievi di capitale – un colossale errore di
calcolo. Di conseguenza, paradossalmente, il PIL, qualsiasi altra
cosa possa misurare, è anche il miglior indice statistico che abbiamo
per totale di inquinamento, esaurimento, congestione e perdita di biodiversità.
L’economista Kenneth Boulding ha suggerito, quasi per scherzo, di rinominare il PIL in CIL, Costo Interno Lordo.
Perlomeno dovremmo mettere i costi ed i benefici in conti separati per un confronto. Economisti
e psicologi stanno scoprendo che, al di là di una soglia di
sufficienza, la correlazione fra PIL e felicità stimata scompare. Ciò
non sorprende perché il PIL non è mai stato inteso come misura di
felicità o benessere, ma solo di attività; alcune delle quali sono
gioiose, alcune benefiche, alcune sfortunatamente necessarie, alcune
correttive, alcune banali, alcune dannose ed altre stupide.
In
sintesi, la crescita economica in senso 1 (dimensione) può essere, e
negli Stati Uniti è diventata, crescita antieconomica in senso 2
(benefici netti). Ed è il senso 2 che importa di più.
Credo che i Limiti dello Sviluppo in senso 2 siano stati raggiunti negli ultimi quarant’anni, ma
lo abbiamo ostinatamente negato, a danno della maggior parte di noi,
ma a beneficio di una elite minoritaria che continua a spingere
l’ideologia della crescita, poiché ha trovato modi per rendere privati i
benefici della crescita e di socializzarne gli ancor più grandi costi.
La grande domanda che ho in mente è: possono la negazione, l’illusione e l’offuscamento durare altri quarant’anni?
E
se continuiamo a negare i limiti economici della crescita, quanto
tempo ci rimane prima di schiantarci contro i più discontinui e
catastrofici limiti biofisici?
Sono
fiducioso del fatto che nei prossimi quarant’anni potremo finalmente
riconoscere ed adattarci a più clementi limiti economici. L’adattamento
significherà spostarci da un’economia di crescita ad una stazionaria,
sicuramente ad un’economia di dimensione inferiore all’attuale. Per
dimensione intendo dimensione fisica dell’economia relativa
all’ecosistema, probabilmente meglio misurata attraverso la
produttività delle risorse. E, ironicamente, il miglior indice esistente
che abbiamo della produttività è probabilmente il vero PIL!
Devo confessare la mia sorpresa per il fatto che la negazione sia durata per quarant’anni.
Penso che per un risveglio serva qualcosa di simile al pentimento e alla conversione, per metterla in termini religiosi.
E’ inutile “predire” se avremo la forza spirituale e la chiarezza
razionale per questo tipo di conversione. La predizione della direzione
della storia è basata su un determinismo che nega scopo e sforzo come
indipendentemente causali. Nessuno riceve un premio prevedendo il suo
stesso comportamento. La predizione del comportamento degli altri è
problematica perché gli altri sono in modo evidente sé stessi. E se
siamo realmente deterministi non importa cosa prediciamo – anche le
nostre predizioni sono determinate. Come non-determinista io spero e
lavoro per una fine della crescita-manìa entro i prossimi quarant’anni. Questa è la mia scommessa personale per il futuro a medio termine.
In che misura confido di vincere questa scommessa? Intorno al 30%, forse.
E’
pienamente concepibile che esauriremo completamente le risorse del
pianeta ed i sistemi di supporto alla vita in tentativi rovinosi e
costosi di crescere per sempre; forse attraverso conquiste militari
di risorse di altre nazioni e dei rimanenti beni comuni globali; forse
attraverso la tentata conquista della “frontiera del cielo”, dello
spazio.
Molti
credono, solo perché siamo riusciti a fare due acrobazie spaziali ad un
costo elevatissimo, che lo scenario fantascientifico della
colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente,
politicamente ed eticamente percorribile. E queste sono le stesse
persone che ci dicono che un’economia di stato stazionario sulla Terra
è un’impresa troppo difficile da compiere.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti
Revisione di Luca Cotta Ramusino
Revisione di Luca Cotta Ramusino

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