giovedì 3 novembre 2011

Default Italia, cosa rischiano imprese e famiglie

( da Giornalettismo)
Le possibili conseguenze di un (per ora improbabile) fallimento

Cosa succede a fare la fine dell’Argentina? O quella probabile della Grecia? Oggi il Corriere della Sera racconta le possibili conseguenze di un default dell’Italia, spiegando cosa succederebbe nel caso peggiore. Ieri lo spread, scrive Francesca Basso, ha chiuso a quota 436 e il rendimento dei titoli decennali si è attestato al 6,19% sul mercato secondario, più o meno come due giorni fa, restando pericolosamente vicino a quella soglia del 7% che gli operatori indicano come il punto di non ritorno per un Paese verso il fallimento. Ma la Banca d’Italia è stata chiara, lo Stato italiano reggerebbe anche se il tasso fosse all’8%. Ma se succedesse il crack, il primo effetto sarebbe una forte recessione. Salvare la moneta unica conviene a tutti, alla Germania come alla Grecia, perché i costi della rottura dell’euro sarebbero altissimi. Va in questa direzione l’intervento dell’Unione europea per creare un piano di salvataggio che aiuti la Grecia, rafforzi le banche dell’Eurozona e garantisca in parte—attraverso il Fondo salva Stati Efsf —gli investitori sul primo 20% di eventuali perdite su bond di futura emissione. Ecco le conseguenze per imprese e famiglie:


I rendimenti dei Btp:

    Ieri il rendimento di un titolo di Stato decennale italiano era del 6,19% sul mercato secondario, l’interesse sul quinquennale del 6,01%, quello sul biennale del 5,25%. Che fare? La prima regola è non cedere all’ansia. Le decisioni in campo finanziario (e non solo) non vanno mai prese sull’onda dell’emotività. Dunque di fronte alla possibilità di acquistare o vendere titoli di Stato si deve valutare la propria propensione al rischio e assumere la maggior quantità di informazioni di fonte valida

Il credito alle imprese:

    Peggiorano le condizioni dei prestiti alle aziende, in conseguenza delle tensioni sul fronte della raccolta bancaria e della pressione sui titoli di Stato. Il Rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato ieri da Bankitalia ha segnalato inoltre «l’alta quota di debiti bancari con scadenze ravvicinate (circa il 60% inferiore a due anni), il cui rinnovo potrebbe consentire alle banche di aumentare i margini». Già da questa estate lo spread massimo applicato sui prestiti alle imprese è salito fino a picchi del 9%.

Prestito immobiliare:

    Secondo Bankitalia, se dovessero proseguire le difficoltà di raccolta delle banche italiane sui mercati all’ingrosso, i tassi di interesse sui prestiti alle famiglie potrebbero aumentare in misura considerevole. Tuttavia «i mutui a tasso variabile stipulati in passato (circa il 70% della consistenza complessiva) sono legati al tasso Euribor, per il quale i mercati si attendono una riduzione nei prossimi mesi». Diverso sarà per i nuovi mutui, che risentiranno del peggioramento generale.

Garanzie allo sportello:

    Tutti i conti correnti sono garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi che copre fino a 100 mila euro e prevede il rimborso entro 20 giorni. Ovviamente dipende dalla solidità del sistema bancario. Per far fronte all’aumento del rischio dei titoli del debito sovrano che gli istituti di credito hanno in portafoglio, l’Autorità di vigilanza europea (Eba) ha chiesto alle banche dell’Eurozona di rafforzare il proprio capitale. Per gli istituti italiani si parla di un’iniezione da 14,8 miliardi

Gli oneri per l’Italia:

    I conti li aveva già fatti ad agosto Ignazio Visco, allora vicedirettore generale oggi governatore di Bankitalia. Ogni «spostamento verso l’alto di 100 punti base — spiegava— comporta un incremento della spesa per interessi pari a circa 0,2 punti percentuali del Pil nel primo anno e a 0,4 e 0,5 punti rispettivamente nel secondo e terzo anno». Con lo spread oltre quota 400 punti la crisi potrebbe arrivare a costare all’Italia 100 miliardi di euro.

Lo scenario peggiore:

    I leader europei ne sono consapevoli: la rottura dell’euro costerebbe molto di più che salvare la Grecia. Otto o dieci volte di più, secondo uno studio di Ubs sui costi della fine della moneta unica: per un cittadino tedesco i salvataggi peserebbero 1.000 euro contro 6-8 mila il primo anno e 3.500-4.500 l’anno successivo in caso di fine dell’euro. Inoltre la moneta dei Paesi che dovessero abbandonare l’euro si svaluterebbe del 60%
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